L’ARTISTA CHE DIPINGE CON LA TERRA

In cucina ha appeso una foto in bianco e nero di lui bambino: ha le gambe magre, i pantaloncini corti e un cavallo al suo fianco, ne tiene le redini sorridente. Sarà stata la fine degli anni Cinquanta e Carlo Romiti aveva già scoperto la passione e l’amore di una vita, la stessa che dipinge ancora oggi, i cavalli. Che poi sarebbe sbagliato limitare la sua arte a questi: Romiti dipinge ciò che conosce – la terra – e con la terra dipinge.

IL LEGAME CON LA NATURA

Ha fatto in tempo a vedere la grande trasformazione delle campagne toscane, a metà Novecento: suo padre era veterinario e quando fu trasferito a Gambassi gli augurarono buona fortuna. Eppure se ne innamorò e vi rimase per tutta la vita. Carlo ne ha seguito le orme: vi è cresciuto e dopo l’Accademia di Belle Arti e un inizio di carriera a Firenze, vi è tornato e ormai ci vive da trent’anni. Ricorda di quando qui, sul crinale che guarda verso Volterra, tra questi boschi popolati di carbonai, iniziava la Maremma. Ricorda la società contadina che la popolava e dice ‘nel mondo in cui viviamo, bisogna raccontare ciò che si conosce e io racconto la natura’.

SULLE ORME DI CENNINO CENNINI

Appesi alle pareti del suo studio ci sono due dipinti: un paesaggio ancora da finire ricorda qualcosa che avrebbe potuto dipingere Mark Rotchko se invece che in Lettonia, fosse nato in Toscana. Su un’altra parete ha appeso un cavallo, tratteggiato in nero su campiture violente di ocra. Romiti dipinge da anni con la terra che lui stesso raccoglie. Ha imparato da Cennino Cennini e da sempre ricorre a una tradizione pittorica antica: la terra grezza, una volta asciugata bene e macinata, viene setacciata, talvolta macinata e poi mescolata con acqua, uovo, olio di lino e altri collanti a seconda dei supporti usati. Tra i suoi soggetti – oltre ai cavalli – compaiono cani, cinghiali e paesaggi, che Romiti continua a dipingere con la stessa tenacia e interesse con cui Giorgio Morandi ritraeva le bottiglie di casa.

LA MAGIA ALCHEMICA DEI COLORI

Mentre parla ti offre un gianduiotto e un bicchierino di aleatico dell’Elba. In studio ascolta la musica di Corelli, il sole filtra dalle finestre impolverate, i colori si animano, i pennelli, le chine, i pestelli, le terre allineate sulle mensole fanno la magia. È la forza alchemica dei materiali: c’è il nero bitume, anche detto mummia, c’è il nero di vite e quello di cedro del Libano – non sono che pezzi di carbone, piccoli e grandi – ci sono le conchiglie di madreperla che, quando le macini, profumano di gas e hanno il colore del latte. C’è il turchinetto che veniva usato per i mantelli delle Madonne; ci sono le ocre, i rossi e decine di terre che hanno il nome del podere dove sono state trovate. Sul Poggio della Donna Morta ne ha trovata una che, una volta macinata, diventa rosa cipria, di un tono che non avrebbe sfigurato sulle guance di Coco Chanel.

Siamo pieni di questa bellezza, sono passate quasi tre ore ed è ora di andare. I suoi due cani, Tancia e Polino lo seguono come due ombre. La prima è un pastore bianco e dalla lascivia con cui dorme al sole non si immaginerebbe che difende il podere anche dai lupi…il secondo è piccolo, nero, ci accompagna fino alla macchina. Salutiamo Carlo, a presto, risaliamo verso la statale, guardiamo nello specchietto e casa Romiti non c’è più. La nascondono le fronde o forse è solo stato un meraviglioso sogno, una smagliatura spazio temporale in un universo chiamato pittura.