UNA GITA IN GIORNATA. ITINERARI VOLTERRANI
sulle tracce dell’arte, tra passato e presente

Trenta chilometri di strada. È quanto separa Gambassi Terme da Volterra, una mezz’ora di macchina, un altro universo, altri scenari. Ci si lascia alle spalle il Chianti da cartolina, coi suoi vigneti, si attraversano i boschi intorno al Castagno e poi, eccole, le colline nude e crude, paesaggi lunari, pliocenici: un tempo c’era il mare che, ritirandosi, ha esposto terreni argillosi e balze sabbiose.

È in questa terra nuda e cruda, tra questi campi infiniti di grano che vi consigliamo di andare. Di transitare, lentamente, verso Volterra, alla ricerca di segni arcaici e allo stesso tempo dissonanti, di un gruppo di opere d’arte ambientale, grandi sculture dalle forme pure, geometriche: cerchi, anelli, ovali e segmenti che l’artista Mauro Staccioli, volterrano, ha disseminato nella terra che l’ha visto crescere.

Un esempio di questo stretto legame tra l’artista e la campagna volterrana è Primi passi, una grande ellisse in acciaio corten, in località Piancorboli, una sorta di mirino che punta verso il vecchio casolare dei nonni materni, oggi abbandonato. Da qui, lo sguardo si allunga fino alle balze e a Volterra. Non lontano si trova il Portale, un arco triangolare che incornicia il viale di ingresso alla Fattoria di Lischeto e che assieme a Primi Passi, delimita i poli del tragitto che i contadini percorrevano per andare a lavoro nei campi.

L’opera forse più nota lasciata da Staccioli è l’Anello, in località San Martino, un cerchio in ferro e cemento, rosso ossido, un segno che si staglia nel paesaggio e che al tempo stesso lo evidenzia, dandogli profondità.

Nel tratto di strada che da Volterra porta a Saline, due altri cerchi, uno pieno e un anello, di cemento e ferro, nelle località di La Mestola e La Boldria.

L’itinerario, ormai conosciuto come Luoghi d’esperienza invita a sguardi attenti, a pause di meraviglia, apre a panorami di straordinaria bellezza… e non è un caso che le sculture di Staccioli – e cioè che incorniciano – siano oggi nei feed di centinaia di instagrammer.

VOLTERRA E LA PIETRA DI LUCE

L’alabastro, la cosiddetta pietra di luce, è una roccia sedimentaria parente del gesso, lattiginosa e atmosferica. Noto fin dagli etruschi per la sua eccezionale trasparenza e luminescenza, l’alabastro volterrano ebbe una grande fortuna nel XIX secolo, quando a Volterra si contavano oltre 60 botteghe artigiane. L’ascesa dell’artigianato, dell’arte e del commercio dell’alabastro fu esponenziale tra gli anni Cinquanta e Settanta dell’Ottocento, grazie anche ai cosiddetti viaggiatori dell’alabastro, quei commercianti che esportarono i manufatti delle botteghe volterrane fin oltreoceano, costruendo imperi commerciali e accumulando enormi doti e patrimoni. Tra questi, Giuseppe Viti, uno dei più avventurosi tra i mercanti giramondo. Viti viaggiò in lungo e largo, sbancò negli Stati Uniti, in Argentina, Brasile e nelle Indie, dove piazzò ingenti vendite tra Bombay, Calcutta e Luknow e dove ottenne addirittura il titolo di Emiro del Nepal per i suoi meriti commerciali.

Una volta tornato a casa, la ricchezza accumulata confluì nell’acquisto e nell’arredo di un palazzo rinascimentale, oggi sede della casa museo che porta il suo nome. Palazzo Viti è uno dei più spettacolari edifici di Volterra. I cinefili più appassionati, entrando nelle sue sale, vi ritroveranno le atmosfere che Luchino Visconti ha ritratto in Vaghe stelle dell’Orsa, il film che nel 1965 gli fece guadagnare un Leone d’Oro a Venezia. Arredi sfarzosi, ori, sete, letti a baldacchino, memorabilia e tesori privati e curiosi, tipici di quel gusto collezionistico delle wunderkammer ottocentesche.

Nella sala da ballo svettano ad esempio due candelabri ciclopici che vi faranno sentire dei lillipuziani. Enormi, alti quasi quattro metri, realizzati interamente in alabastro. Vi lavorarono più fabbriche perché il committente, assai titolato, era niente di meno che Massimiliano d’Asburgo, imperatore del Messico. Purtroppo la sua morte prematura – per le cronache fu fucilato  proprio in Messico dai suoi oppositori repubblicani – lasciò i molti artigiani ingaggiati con un pugno di mosche in tasca.

Di lì a poco, la fortuna dell’alabastro segnerà una battura d’arresto, fino alla grave crisi di fine XIX secolo. Per ripercorrere la storia di questa fiorente industria, delle sue maestranze, dei suoi alti e bassi storici, vi consigliamo di visitare l’Ecomuseo dell’Alabastro, nelle Torri Minucci.

PALAZZO VITI è aperto tutti i giorni, da lunedì a venerdì dalle 11 alle 13 e dalle 14 alle 17. Il sabato e la domenica apre dalle 11 alle 17.30.

L’ECOMUSEO DELL’ALABASTRO è aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00

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