Pieve di Santa Maria a Chianni
Il simbolo di Gambassi, la chiesa dei pellegrini
Sarà forse per l’arenaria che l’accende d’ocra che la Pieve di Santa Maria a Chianni sembra sempre baciata dal sole.
Sarà per i pini che le fanno da sipario, sarà l’austera partitura romanica della facciata, la pulizia degli archi ciechi, senza fronzoli, o forse è per via della strada che passa più in basso e che t’impone di guardarla da giù in su.
Insomma, forse è per tutto questo che la pieve simbolo di Gambassi emerge come una solida monade sul palco di quest’angolo di Toscana.
È uno spettacolo silente. La pieve mantiene un’eleganza controllata, tipica del romanico pisano che qui viene riletto con la modestia dei mezzi di una pieve di campagna. Se ne hanno notizie a partire dalla fine del X secolo, quando Sigerico – il più autorevole cronista della Via Francigena – ne riporta l’esistenza nel suo diario di viaggio: Sancte Maria Glan, XX submansio.
La chiesa così come la conosciamo oggi deve esserne una versione successiva, costruita in contemporanea alla fondazione del Castello di Gambassi intorno al 1200. Si suppone che nel 1224 non fosse ancora terminata, visto che quello stesso anno gli abitanti di Gambassi furono chiamati a pagare una tassa che ne finanziasse il completamento.
A lavorarci furono quasi sicuramente maestranze volterrane – la sudditanza feudale che legava Gambassi alla città dell’alabastro ne spiega il perché – e di uno di loro conosciamo addirittura il nome, Johannes Bundivulus, inciso probabilmente dallo stesso maestro su uno dei capitelli interni alla chiesa.
Ed è proprio sui capitelli che cade il nostro sguardo: nella penombra della pieve, la severità delle linee, la monotonia dell’arenaria e la semplicità dello spazio a tre navate sono interrotte dalla varietà dei motivi decorativi, geometrici e iconografici alla base degli archi a tutto sesto. [l’osservatore più attento noterà anche che, sebbene i capitelli lascino spazio agli archi alla stessa altezza, tra fila destra e sinistra, le colonne che li sorreggono non sono simmetriche, quelle a sinistra poggiano su un plinto piuttosto alto, quelle a destra no].
Ciò nonostante, la chiesa si caratterizza per quella sobrietà tipica dell’arte romanica: ne è indice l’uso di finestre monofore, strettissime, dalle quali filtra pochissima luce. Entrandovi in estate, si ha la sensazione di trovarsi al buio, gli occhi hanno bisogno di tempo per abituarsi mentre l’atmosfera chiama al raccoglimento.